Coltiviamo il cuore del Barolo
Castelletto, località sotto il comune di Monforte d’Alba, sorge nel centro geografico delle colline del Barolo, riconosciute patrimonio Mondiale dell’ Umanità dall’Unesco.
La nostra è una lingua di terra che si eleva sul crinale di Perno verso i 450 metri e sulla cui sommità sorge la cantina Manzone. Siamo in un crocevia meraviglioso: a nord Castiglione Falletto, a sud Monforte d’Alba, a ovest Barolo, a est Serralunga d’Alba, in una valle di vertiginose pendenze, circondata da antichi boschi, e abbracciata all’orizzonte dal maestoso arco Alpino.
Terreni poveri e pietrosi, dove l’agricoltura ha sempre dovuto lottare con l’aridità e la magrezza dei suoli. Su questi pendii, miti d’inverno e ventilati d’estate, la vite ha trovato la sua vocazione perfetta: un territorio fatto su misura per il vino con rese basse, produzione di qualità con un utilizzo di fitofarmaci di copertura ridotto al minimo.
UN’ARMONIA REGALATA DAL TEMPO
I vigneti della famiglia Manzone hanno imparato a vivere e prosperare nella continua mancanza, adattandosi con caparbietà e versatilità alle condizioni impervie di Castelletto. Della scarsità hanno fatto la loro forza e della povertà dei terreni, la loro ricchezza.
Dopo quasi un secolo di viticoltura, nelle vigne dei Manzone si è creato un ecosistema naturale ed armonioso. Un vero e proprio miracolo di adattamento che oggi si esprime in vini paladini della territorialità, le cui caratteristiche rappresentano l’intrinseca natura di Castelletto e del suo straordinario, per quanto austero, terroir.
I VIGNETI
I terreni della famiglia Manzone occupano 13,5 ettari, di cui circa 8.5 coltivati a vigneto, tutti all’interno della denominazione Barolo e disposti, in gran parte, attorno alla cascina di Castelletto.
Sono due le Menzioni Geografiche Aggiuntive rivendicate per il Barolo: Castelletto e Gramolere, entrambe vocate, per la stessa natura dei suoli, particolarmente magri e poveri di sostanza organica, alla viticoltura d’eccellenza.
LA FORZA ESPRESSIVA DEL TEMPO
La Menzione Geografica Aggiuntiva Castelletto è il cuore storico della famiglia Manzone ed è la vigna che il nonno Giovanni ottenne in eredità dal padre Stefano. Un ettaro circa esposto a est sudest, attorno al Ciabot del Preve, nucleo originario dell’odierna sede aziendale. Ripido e scosceso, caratterizzato da suoli magrissimi, pietrosi, composti da un mix di marne argillose, arenarie, vene di sabbia superficiale e calcare, regala i Barolo più iconici dell’azienda: vini austeri e strutturati, di grande potenza e colore, con tannini ben presenti ma levigati, dal retrogusto quasi dolce. Barolo muscolari e virili, di enorme longevità, capaci di regalare emozioni sempre nuove e di migliorare man mano che passa il tempo.
La vigna di Castelletto, fuori dai confini della menzione, si estende anche in direzione ovest. Qui è coltivata a Rossese bianco e Dolcetto, e dona vini succosi e fruttati , dalla struttura importante.
COLTIVARE IL VINO SULLE PIETRE
Gramun e pere, ovvero «gramigna e pietre». Così veniva chiamata anticamente quest’area tra Perno e Monforte d’Alba, incastonata tra le menzioni Bussia e Castelletto.
A Gramolere non cresceva nulla, se non la vite, spinta dallo stress di terreni aridi e poveri a cercare nutrimento in profondità. Dall’inizio degli anni ’70, i Manzone coltivano circa 3 ettari e mezzo all’interno della Menzione, divisi in due appezzamenti.
Gramolere Soprana, la parte più alta del vigneto, la meglio esposta, coltivata a nebbiolo da Barolo, con terreni sabbiosi, pietrosi e calcarei; e Gramolere Sottana, caratterizzata da un microclima più fresco e terreni più argillosi, che accoglie viti di barbera e rossese.
IL CRUTIN DELLE GRAMOLERE
In piemontese crutin è il «grottino», una piccola cavità scavata nella roccia a suon di picconate, utile ai contadini di un tempo come magazzino sotterraneo per lo stoccaggio di attrezzi e, in alcuni casi, per l’affinamento dei vini.
Così è anche il Crutin delle Gramolere, località di Monforte d’Alba che ha preso il nome proprio dallo scavo che il proprietario, tale Gepinat, aveva affiancato alla cascina, negli anni del dopoguerra. Un grottino profondo, addossato al fianco della collina, dal quale si poteva accedere a una sorgente, preziosa fonte d’acqua in una Langa che ancora non era dotata di acquedotti pubblici.
Gepinat era un uomo burbero e rustico come tutti i vecchi di Langa. Eppure aveva buon cuore ed era sempre andato d’accordo con la famiglia Manzone, che possedeva alcuni appezzamenti alle Gramolere, di fianco alla sua proprietà. Gepinat era, soprattutto, un solitario. Amava andar per trifole e aveva fondato, proprio al Crutin, una scuola di addestramento per cani da tartufo. Stava sempre in casa e si recava in paese una o due volte la settimana, a piedi, attraversando vigne e boschi, perché non aveva un’auto e neppure una bicicletta.
Alla morte di Gepinat, la casa del Crutin fu ceduta a una famiglia di Torino, che aveva piazzato nel grottino una corda motorizzata per estrarre l’acqua dalla sorgente. Negli anni 2000, il Crutin viene acquistato da Giovanni Manzone con i vigneti annessi. Comincia un lungo lavoro di recupero e sistemazione dei filari, oggi destinati soprattutto alla coltivazione di nebbiolo da Barolo e Langhe Nebbiolo.
LA CASA DELLA MARCHESA
Ubicata in frazione Gramolere, la Casa della Marchesa appartenne alla Marchesa Scarampi del Cairo, nobile famiglia piemontese che possedeva un grande palazzo a Monforte d’Alba. Era, come usava allora, una cascina destinata ai mezzadri, coltivatori che dividevano i proventi del raccolto con i padroni della terra. Un edificio particolare, con mura spesse e contrafforti, segno dell’antichità della struttura, forse utilizzata in epoca napoleonica come baluardo difensivo.
La Casa della Marchesa si lega alla triste storia del Polesine. In seguito alla catastrofica alluvione del 1951, venne utilizzata per l’accoglienza di una famiglia di profughi che aveva tre bambini. Fu in quel periodo che Giovanni Manzone iniziò a frequentarla, proprio per giocare con i suoi coetanei. «Prima ancora dell’italiano», racconta Giovanni, «imparai il dialetto veneto, la lingua che sentivo in casa dei miei amici. Ricordo ancora che alla Casa della Marchesa veniva a prenderci la maestra. Lasciava il suo motorino sotto il portico e, insieme, procedevamo per la vicina scuola di Castelletto, piccola frazione di Monforte d’Alba».
Abbandonata per lunghi anni, nel 2002 la Casa della Marchesa viene acquistata dalla famiglia Manzone, che rileva anche un ettaro di terreno, oggi impiantato a nebbiolo da Barolo. Sono anche iniziati i lavori di ristrutturazione che, in futuro, porteranno alla creazione di una struttura di ospitalità turistica.
I VINI DELLA SOPRANA
I Barolo donati da Gramolere Soprana sono meno irruenti e austeri di quelli di Castelletto, ma più floreali, eterei, dal colore leggermente più scarico. Una sottigliezza che esalta i profumi, rendendoli diretti, schietti e più accessibili, in una parola, classici. È da questi filari, infine, che nasce il Gramolere Barolo Riserva, invecchiato almeno 7 anni prima di uscire sul mercato, di cui 5 di affinamento in botti grandi e 2 in bottiglia.
I VINI DELLA SOTTANA
Dalla Sottana nascono Barbera importanti, d’eccezionale carattere e struttura, grande complessità e invidiabile capacità di resistere al tempo.
POTENZA ED ELEGANZA
Acquistata nel 1989, la vigna Bricat deve il suo nome al vecchio proprietario che, quando veniva a lavorarla, soleva pranzare nel ciabot (il «capanno degli attrezzi») ancora oggi presente al centro dei filari. Ciabot Bricat si estende per poco meno di un ettaro ai piedi di Gramolere Soprana e confina con una delle piu’ grandi aree boschive nella zona del Barolo. I terreni, caratterizzati da argille rosse e calcare, donano vini di ottima complessità e struttura, profondi, in perfetto equilibrio tra potenza ed eleganza.
STORIA DEL BRICAT
Ciabot Bricat. Così a Monforte d’Alba tutti conoscevano il casotto (in piemontese ciabot) di Luigi Cortellesi, il cui soprannome, Gigi Bricat, descriveva bene il suo carattere. Bricat, in dialetto, significa infatti «fiammifero», perché Gigi era un tizio dal piglio passionale e focoso, pronto ad accendersi per un nonnulla. Ma Bricat vuol dire anche dire «bricchetto», ovvero «piccolo poggio», a indicare il luogo dove aveva costruito il suo ciabot, in mezzo ai filari della collina di Gramolere.
Gigi Bricat coltivava le sue viti con dedizione, tanto che, a volte, si fermava a mangiare e a dormire nel casotto, che aveva una stanza al piano di sopra e un pozzo con la sorgente. Era molto conosciuto in paese anche grazie al padre, uno dei primi contadini ad aver acquistato la trebbiatrice meccanica. Un mezzo che girava di cascina in cascina, prestando i suoi preziosi servigi a tutto il circondario. La trebbiatura del grano era un rito. Gli uomini prendevano le automobili e seguivano la trebbiatrice fino ai luoghi dove veniva messa in funzione. Come parte del salario, venivano ricompensati da un lauto pranzo in comune, che si svolgeva in una delle cascine limitrofe. Era un lavoro duro ma corale, e anche una festa: si cantava e si beveva il vino tutti insieme, coinvolgendo ogni persona delle borgate vicine.
Alla morte di Gigi Bricat, nei primi anni ’90, i figli continuarono a conferire le uve alla cantina sociale Terre del Barolo. Fino a quando il Bricat non venne acquistato dalla famiglia Manzone, che possedeva i vigneti circostanti nella zona delle Gramolere.
Oggi la vigna del Bricat viene vinificata come single vineyard, ovvero come singola parcella. Regala un Barolo di grande persistenza, dai profumi intensi. Un vino molto longevo, che ha bisogno di tempo per aprirsi e svelare la sua anima profonda e complessa, quasi misteriosa.
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